Le collezioni delle Gallerie Estensi, si arricchiscono di un nuovo prezioso dipinto esposto alla Pinacoteca di Ferrara. Si tratta di un’opera di Giacomo Parolini: “La Madonna col Bambino porge la cintura a san Gelasio papa”, una pala d’altare di eccezionale fattura e che fu originariamente eseguita per la chiesa di S. Agostino e in seguito alle soppressioni napoleoniche poi custodita in collezioni private. Il quadro è un dono degli eredi di Guido Zanardi. All’inizio del Settecento, quando fu concepita, le formule stilistiche della pittura barocca erano collaudate da ormai un secolo di tradizione. Lo si percepisce nella matura armonia del dipinto, che ci offre l’apparizione illusionistica di figure al tempo stesso solide e senza peso, bagnate di luce mutevole. È una delle migliori opere di Parolini, continuatore a Ferrara della lezione di maestri bolognesi come Carlo Cignani, Giovan Gioseffo Dal Sole e Giuseppe Maria Crespi

Giacomo Parolini (Ferrara, 1663-1733) fu un importante esponente della cultura pittorica emiliana di tardo Seicento, a cui si accostò come giovane dilettante dapprima a Torino, parentesi che gli valse i primi insegnamenti da Giovanni Peruzzini, pittore di corte dei Savoia ma di formazione emiliana e centro-italiana. Quindi, spostatosi a Bologna, sviluppò la propria identità grazie alla guida di Carlo Cignani e alla stretta frequentazione di Giovan Gioseffo Dal Sole e Giuseppe Maria Crespi. La sua carriera autonoma prese avvio soprattutto quando ritornò definitivamente a Ferrara, sua città natale, dopo un soggiorno a Venezia. Dall’inizio del nuovo secolo ricevette numerose commissioni per chiese ferraresi, talvolta più tardi disperse a seguito delle soppressioni napoleoniche, come nel caso di questa pregevolissima pala d’altare che dipinse nel 1708 per la chiesa di Sant’Agostino oggi non più esistente. Rimasta per due secoli in collezioni private, prima Saroli Lombardi, e più di recente Zanardi, l’opera si presenta in ottimo stato e manifesta al livello più alto lo stile forgiato sulla grande lezione dei suddetti maestri. Valgano i termini in cui la descrisse lo storico ferrarese Girolamo Baruffaldi, che fu in rapporti di particolare confidenza con Parolini e ne scrisse una biografia ricca di notizie di prima mano: “d’una maniera così bella, e di sì perfetto disegno e colorito, che può ragionevolmente questo quadro annoverarsi fra i migliori di questo insigne pittore: lo che s’è veduto dal comun desiderio d’averne il disegno e la stampa, così che il mentovato [Andrea] Bolzoni si risolse col suo bulino d’intagliarlo per farne comune il piacere, e correndo per le mani di tutti viene considerata quest’opera di molta eccellenza” (G. Baruffaldi, Vite de’ pittori e scultori ferraresi, ed. 1844-1848, II, p. 341). Lo stesso giudizio lusinghiero è stato confermato negli studi moderni (Bargellesi; Riccomini), e dunque l’ingresso dell’opera nelle collezioni delle Gallerie Estensi – Pinacoteca Nazionale di Ferrara costituisce un importante arricchimento, del tutto pertinente alla storia del museo, peraltro in un settore (quello della pittura a cavallo fra Sei e Settecento) che è fra i meno rappresentati in collezione.

 

La scelta di donare il quadro del pittore Giacomo Parolini risponde alla volontà della nostra famiglia di eleggere la Pinacoteca Nazionale palazzo dei Diamanti di Ferrara quale sede appropriata per custodire e tramandare un bene destinato alla fruizione della città” dichiara Paola Zanardi.

Con questa donazione, la Pinacoteca aggiunge un altro importante tassello alla conoscenza della tradizione figurativa della città – afferma Martina Bagnoli, direttrice delle Gallerie Estensi – . Siamo enormemente grati agli eredi di Guido Zanardi per averci donato l’opera e onorati che abbiano ritenuto la Pinacoteca la giusta destinazione per il loro lascito, segno che il lavoro svolto in questi anni dal museo è stato apprezzato e capace di attrarre l’attenzione dei collezionisti”.

 

L’opera sarà esposta in una sala dedicata all’arte del Settecento. Pur nelle differenze di tipologie e scuole pittoriche, i dipinti in mostra risentono dei mutamenti radicali che investono quest’epoca caratterizzata da un inesorabile processo di secolarizzazione. L’arte è vista sempre più come un raffinato prodotto dell’ingegno umano, al pari della scienza o dell’economia, e si allontana dal carattere trascendente che l’aveva ispirata fin dal Medioevo. Naturalmente sopravvivono formule e schemi tradizionali, specie nella produzione di tema religioso o mitologico. Se ne trovano vediamo tipici esempi nelle tele di Parolini o dei Gandolfi, opere di alta qualità di maestri che hanno primeggiato a lungo nella scena emiliana. Ma si tratta per lo più di soluzioni accademiche, sviluppi estremi e nostalgici di un linguaggio codificato nel secolo precedente. È nei ritratti che qui si apprezza al meglio il percorso verso la modernità. L’effigie di un individuo rispecchia infatti anche i caratteri del suo tempo, e dunque valori civici e politici. Sono proprio questi ultimi a segnare l’arte della fine del secolo, quando la Rivoluzione francese cambia per sempre lo scenario di tutta Europa. Il ritratto di famiglia di Ménageot, datato 1801, racconta ormai di un’arte al servizio della nuova società borghese.