19 luglio 1992. Una data che cambiò per sempre la storia del nostro paese. Al civico 21 di via D’Amelio il giudice Paolo Borsellino veniva ucciso in un attentato esplosivo proprio sotto casa della madre. Insieme a lui persero la vita anche cinque agenti della scorta. Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Emanuela Loi, la prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo che in quel momento stava parcheggiando l’auto. Erano le 16.58 quando la Fiat 125 rubata e contenente oltre 90 chilogrammi di esplosivo saltò in aria generando il caos. Una grossa fiammata, poi il violento boato e infine l’ennesima devastazione: solo qualche mese prima, il 23 maggio, il magistrato antimafia Giovanni Falcone fu ucciso in un altro attentato lungo l’autostrada A 29 nei pressi di Capaci. Anche questa volta le immagini della distruzione con le auto arse dalle fiamme fecero il giro di tutte le televisioni. Inerme l’Italia assisteva alla morte di un altro magistrato simbolo della lotta a Cosa Nostra. Falcone e Borsellino vennero uccisi barbaramente da quella mafia che entrambi con il loro lavoro cercavano di debellare. Oggi a distanza di 30 anni i loro nomi sono un simbolo nell’immaginario collettivo di giustizia, di legalità ma anche di determinazione e caparbietà.