Il particolato atmosferico è un possibile indicatore di future recidive dell’epidemia da Covid-19. A confermarlo è uno studio della Sima, la Società Italiana di Medicina Ambientale in collaborazione con ricercatori dell’Università di Bari, Bologna, Trieste e Napoli. Le prime evidenze provengono da analisi eseguite su 34 campioni di PM10 in aria ambiente di siti industriali della provincia di Bergamo. I campioni hanno confermato la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate prese in esame. Si tratta della prima prova scientifica che l’Rna del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente, suggerendo così che, in condizioni di stabilità atmosferica e alte concentrazioni di PM, le micro-goccioline infettate contenenti il coronavirus possano stabilizzarsi sulle particelle per creare dei cluster col particolato, aumentando la persistenza del virus nell’atmosfera come già ipotizzato sulla base di recenti ricerche internazionali.

L’individuazione del virus sulle polveri potrebbe essere anche un buon marker per verificarne la diffusione negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico. Le ricerche hanno ormai chiarito che le goccioline di saliva potenzialmente infette possono raggiungere distanze anche di 7 o 10 metri, confermando la necessità delle mascherine. I ricercatori però sottolineano come lo studio non attesta ancora con certezza definitiva che vi sia una terza via di contagio, ma nella Fase 2 sarà necessario mantenere basse le emissioni di particolato per non rischiare di favorire la potenziale diffusione del virus.