Augusto Bianchini “appare oggi un uomo stanco e sconfitto, e tale probabilmente è per l’età, i malanni e le vicissitudini giudiziarie, ma è stato un imprenditore di successo, titolare di un’azienda edile di primario rilievo, che, probabilmente in un periodo di difficoltà economica, o forse anche per bramosia di maggiori guadagni, ha ceduto alla tentazione di scendere a patti con la ‘ndrangheta”. Con queste parole i giudici della Corte d’appello di Bologna motivano la condanna a nove anni dell’imprenditore modenese per vari reati, in primis il concorso esterno in associazione mafiosa. Il collegio presieduto dal giudice Alberto Pederiali, durante la tranche del processo d’appello di Aemilia svoltasi con rito ordinario, ha dunque scritto che Bianchini ha messo in atto le sue condotte criminali trattando con gli ‘ndranghetisti “da pari a pari, intraprendendo affari con la ‘ndrangheta nella piena consapevolezza che, perseguendo il proprio interesse, realizzava però anche quello della criminalità organizzata,  accrescendone il grado di infiltrazione nel tessuto economico e con ciò il prestigio”. Da qui la decisione di confermare nei suoi confronti la condanna per concorso esterno, pur assolvendolo dall’accusa di caporalato per la quale era stato condannato in primo grado assieme alla moglie Bruna Braga. Inoltre, la condanna di Augusto Bianchini è stata lievemente ridotta: i giudici di primo grado lo avevano condannato a nove anni e 10 mesi. Secondo i giudici, in particolare, dopo il terremoto del 2012, Bianchini non poteva non sapere che stava intrecciando rapporti con esponenti di rilievo della criminalità organizzata.