Non ci sono solo il caro benzina e il caro energia a gravare sulle spalle degli italiani. Secondo i dati di Ismea, l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Alimentare, dal grano al pane i prezzi sono aumentati anche di dieci volte a causa di speculazioni e distorsioni all’interno delle filiere. L’impennata dell’inflazione, secondo le stime, peserà sul carrello degli italiani oltre 8 miliardi nel 2022, mentre nei campi i compensi sono ormai scesi sotto i costi di produzione, costringendo molte imprese a lavorare in perdita. La guerra ha di fatto moltiplicato manovre speculative e pratiche sleali sui prodotti alimentari, che vanno dai tentativi di ridurre la qualità dei prodotti offerti sugli scaffali alle etichette ingannevoli fino al taglio dei compensi riconosciuti agli agricoltori al di sotto dei costi di produzione. Il risultato è che per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati, appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori ma se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione nelle campagne scende addirittura ad appena 6 centesimi. Il pane è uno degli esempi più significativi: un chilo di grano viene pagato agli agricoltori intorno ai 35/40 centesimi e serve per produrre un chilo di pane che viene venduto a consumatori a prezzi che variano dai 3 ai 5 euro a seconda delle città. L’incidenza del costo del grano sul prezzo del pane resta dunque marginale pari a circa il 10% in media. Oltre a tutto questo c’è l’inflazione americana alle stelle, con il dato dei prezzi al consumo balzati a 9,1% annuale, il massimo da novembre 1981, che ha fatto sbandare Wall Street e le borse europee.