L’emergenza energia è già una drammatica realtà. E i suoi effetti sono già visibili, qui e ora. Regioni e organizzazioni confindustriali del Nord lanciano un allarme gravissimo, da ultima spiaggia: nell’area più importante del tessuto industriale italiano gli aumenti rischiano di superare i 40 miliardi, un impatto devastante, in grado di mettere «a repentaglio la sicurezza e la tenuta sociale nazionali». È uno scenario apocalittico, quello che disegnano i protagonisti del tessuto produttivo che fa da spina dorsale all’economia italiana, che ora di nuovo trema di fronte ai nuovi giorni di chiusura del gas russo. Le stime d’altra parte sono terrificanti, e gli effetti dei rincari già si vedono sulla carne viva del Paese. La questione è di sopravvivenza. Si sono incontrati lunedì sera in via straordinaria i presidenti di Confindustria Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, e ieri hanno lanciato un «sos» in linea con l’appello del presidente nazionale Carlo Bonomi. Con loro, gli assessori allo sviluppo economico delle quattro Regioni. I rappresentanti delle Confindustrie hanno presentato i dati degli incrementi dei costi energetici dal 2019 al 2022: emerge che nel 2019 il totale dei costi di elettricità e gas sostenuti dal settore industriale delle quattro regioni ammontava a circa 4,5 miliardi di euro, mentre nel 2022 gli extra-costi raggiungeranno nell’ipotesi più ottimistica una quota pari a circa 36 miliardi, che potrebbe essere addirittura superiore ai 41 miliardi nello scenario di prezzo peggiore. «La situazione ha carattere di straordinarietà e urgenza indifferibile – dicono i rappresentanti di Confindustria – perché è impossibile mantenere la produzione con un tale differenziale di costo rispetto ad altri Paesi nostri competitor, che va a colpire non solo le imprese esportatrici dirette, ma anche tutta la filiera produttiva, con un effetto pesantemente negativo soprattutto sulle piccole e medie imprese».