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Choc all’Università, studente si getta dal quarto piano


    La vittima è un giovane romeno di 24 anni. Ha lasciato un biglietto di addio

    Tragedia ieri al Dipartimento di Chimica dell’Università di Modena e Reggio, dove uno studente di 24 anni è stato trovato senza vita alle 4.30 di mattina da un passante. Dai primi rilievi effettuati dalla Polizia pare che si tratti di un gesto estremo: il giovane, un ragazzo romeno, si sarebbe gettato dal quarto piano della facoltà. A notare il corpo, che si trovava nel cortile, è stato un passante. A casa del giovane sarebbe poi stato trovato un biglietto, in cui venivano manifestate la tragica intenzione. Ovviamente, per ragioni di privacy, non è stato reso noto il contenuto del biglietto, ma qualsiasi spiegazione sarebbe superflua di fronte ad una tragedia così immane. Per il mondo universitario modenese è stato uno choc molto forte. Ieri sono state annullate tutte le lezioni e le attività didattiche in programma. Come detto, il corpo del giovane è stato rinvenuto alle 4.30 di mattina: non si è ancora capito perché il 24enne si trovasse all’interno del Dipartimento di Chimica a quell’ora. Come è entrato? Si è nascosto all’interno di un’aula e ha aspettato che la facoltà chiudesse, o si è introdotto nella notte? Domande che ora sono al vaglio degli investigatori, anche se purtroppo influscono poco e niente rispetto alla tragedia che si è consumata. In quell’ala della struttura universitaria non vi sono residenze per studenti, ma solo aule didattiche, laboratori e uffici dei docenti. Per gli agenti intervenuti sul posto, impegnati a ricostruire la dinamica, non vi sarebbe molto spazio per considerare il fatto come un incidente: il biglietto di addio è stato considerato credibile e la dinamica del fatto induce a pensare che si tratti di un suicidio.

    MINORI E VIOLENZA


      L’uomo incastrato dai disegni del ragazzino

      Per sette mesi abusò di un dodicenne Ristoratore 67enne finisce in carcere


        Dovrà scontare una condanna definitiva a sei anni

        Per circa sette mesi ha abusato di un ragazzino di dodici anni, ieri è finito in carcere per scontare una pena di 6 anni. Protagonista dell’ennesima violenza su minore, una vera e propria piaga nel nostro paese e nella nostra provincia, è un ristoratore di 67 anni: per lui ieri la sentenza è diventata definitiva e si sono aperte le porte del carcere. Una storia di grande sofferenza per la vittima e la famiglia, residenti in un paese della montagna. I fatti risalgono agli anni 2000-2001: secondo quanto emerso durante le indagini e appurato poi in sede di dibattimento processuale, gli abusi sarebbero iniziati nell’ottobre del 2000 e si sarebbero protratti fino al maggio del 2001. Il primo approccio tra il ragazzino e il ristoratore sarebbe avvenuto nei pressi della fermata dell’autobus di fronte all’esercizio del 67enne. Il dodicenne passava di lì ogni mattina per prendere l’autobus e recarsi a scuola. Secondo l’accusa, che ha ottenuto una condanna a 6 anni diventata definitiva dopo che la Cassazione ha respinto il ricorso del difensore, il ristoratore avrebbe circuito il ragazzino convincendolo a seguirlo in una rimessa abbandonata dietro l’esercizio pubblico, con la scusa di giocare con un cane. In realtà qui l’uomo portava a compimento il suo disegno criminale, costringendo il dodicenne a subire abusi di natura sessuale. Una situazione che si è ripetuta purtroppo per diverso tempo, sempre con lo stesso copione. Fino a quando gli insegnanti non si sono accorti che qualcosa non andava nel ragazzino, sempre più cupo e probabilmente angosciato per ciò che stava subendo. Non aveva la forza di parlare, di denunciare tutto, ma in qualche modo lo ha fatto lo stesso: sono infatti stati i disegni che il dodicenne faceva tra i banchi di scuola ad esplicitare agli adulti la situazione che stava vivendo. Un incubo descritto con una matita, che tratteggiava esplicite scene pedopornografiche. I sospetti vennero subito comunicati prima ai genitori e poi alle autorità giudiziarie, che avviarono accurate indagini. Attraverso una serie di elementi investigativi venne individuato e denunciato l’uomo, originario di Finale Emilia con attività di ristorazione nei pressi del distretto ceramico. Durante i vari gradi di giudizio emerse la colpevolezza del 67enne, ribadita poi dalla Cassazione che ha messo la parola fine alla vicenda almeno dal punto di vista giuridico. Per il ristoratore si sono aperte ora le porte del carcere, mentre per l’allora dodicenne, ormai divenuto un ragazzo di 25 anni, sarà difficile fare rimarginare la ferita provocata dagli abusi subiti.

        La moda del voto-burla, dalla Valeriona a Margherita Hack


          Ieri come spesso l’elezione del presidente della Repubblica ha espresso nomi improbabili

          Si sa, lo scrutinio segreto per l’elezione del presidente della Repubblica si presta, storicamente, alle burle più inaspettate. Altro che Marini e Rodotà. I nomi più originali questa volta sono stati altri. Cominciamo con gli outsider, che sebbene improbabili, sono pur sempre esponenti politici. Nel primo scrutinio hanno ottenuto voti l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino (41), Romano Prodi (14), già nella rosa di Beppe Grillo ed Emma Bonino (13), la prima di cui si è fatto il nome ma che non ha trovato alcuna intesa nei giorni scorsi. Nel secondo scrutinio cominciano ad apparire, nell’imbarazzo della presidente della Camera Laura Boldrini, schede con il nome di Sophia Loren, ieri come oggi. Ma anche Valeria Marini, per la prima volta nella storia. Nell’emiciclo di Montecitorio è risuonato poi il nome del personaggio di un film cult come Amici miei: quello del conte Raffaello Mascetti. Votati anche lo scrittore Claudio Magris, l’astrofisica Margherita Hack, la tanto discussa Milena Gabanelli, l’ex consorte del Cavaliere Veronica Lario. Dall’urna esce anche un candidato «dotato», Rocco Siffredi, ma anche Giovanni Trapattoni. Sempre nel secondo scrutinio hanno poi ottenuto voti ancora Romano Prodi (13), Alessandra Mussolini (15), ancora Emma Bonino (10), Sergio De Caprio, detto Capitano Ultimo (9) – è il carabiniere italiano a capo del Crimor noto soprattutto per aver arrestato Totò Riina nel 1993. Attualmente ha il grado di colonnello – Rosy Bindi (6), Piero Grasso (2), Silvio Berlusconi (4), lo stesso Pier Luigi Bersani (4), Anna Finocchiaro (4), Paola Severino (5), Cosimo Sibilia (7), Michele Cucuzza (2), Arnaldo Forlani (2), Ricardo Merlo (2), Santo Versace (2), Daniela Santanchè (2), e Claudio Sabelli Fioretti (2).

          «Si torni immediatamente alle urne a giugno» Il tempo dei balletti è concluso per Berlusconi


            Dopo la chance al Pd il Cavaliere ora pronto a tornare a vincere

            Si torni «immediatamente al voto da giugno». A dirlo è stato il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, in un comizio a Udine, dove è giunto nella serata di ieri, dopo il voto a Montecitorio, per tenere un comizio elettorale a sostegno del candidato di centrodestra alla presidenza del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, alle prossime elezioni regionali. «Abbiamo fatto un’intesa con Pd e Scelta Civica – ha spiegato il Cavaliere – per una candidatura condivisa ma dissensi interni rendono impossibile un’elezione unitaria». Così, «dal 24 febbraio non abbiamo ancora uno straccio di Governo: vi sembra possibile che il Paese viva in questa paralisi? Nessuno può far finta di non avere capito». Poi ripercorre i punti salienti del suo programma: «Elezione diretta del presidente della Repubblica da parte dei cittadini, riduzione delle tasse, e lavoro per i giovani». Poi l’attacco a Bersani: «Noi siamo i modernizzatori e gli innovatori, non la sinistra:il Pd è il partito del non fare, che è sempre in maggioranza». L’occasione è stata utile per ricordare quanto fatto per la riforma della giustizia: «Ho lavorato personalmente alla riforma della giustizia. Noi l’abbiamo fatta nell’ultimo Governo, l’abbiamo mandata sulla scrivania di Fini ed è rimasta lì per mesi. Noi abbiamo fatto un Quarantotto ed è partita, ma alla Camera è stato un calvario: già il testo era diverso e poi è rimasta lì per un tempo di 600 giorni». Replicando ad alcuni contestatori, e riferendosi al Pd, ha detto: «Noi mai nella nostra storia, e io sono nella storia della democrazia italiana da 20 anni, abbiamo fatto quello che stanno facendo questi signori qui e li chiamo signori solo perché noi siamo i veri signori». La campagna elettorale è già cominciata: «Il Pdl è oggi sopra di quattro punti e se si andasse al voto conquisterebbe Camera e Senato: col 51% dei voti potremmo cambiare la Costituzione e rendere il Paese governabile e competitivo con altri Paesi nel mondo»

            FUMATA NERA


              Centrosinistra nel disastro

              Quirinale, Bersani è il vero perdente


                Marini è bruciato nei due scrutini dai franchi tiratori Autogol del segretario già avvertito da renziani e Sel

                Pier Luigi Bersani ha perso la partita e la persa molto male. Il suo candidato al Quirinale, Franco Marini, scelto in compromesso con Pdl, Lega e Scelta Civica non ha raggiunto il quorum necessario per essere eletto in entrambi gli scrutini di ieri e i voti mancanti sono quelli dello stesso partito di Bersani. Due fumate nere per l’elezione del presidente della Repubblica: al primo scrutinio Marini si è fermato a 521 voti, mentre Stefano Rodotà, candidato del Movimento 5 Stelle, sostenuto anche da Sel, ha raggiunto 240 voti. Calati rispetto al primo scrutinio i voti per Rodotà, da 240 a 230. Marini affossato con 15 voti. Le schede bianche sono state 418. Sel, già dalla mattina di ieri, non aveva fatto segreto che non avrebbe votato Marini. Poi in giornata Vendola ha dichiarato che «per Marini è stato un risultato sconfortante, perciò se il Pd non fermerà la giostra, cambiando candidato, noi continueremo a votare Rodotà». L’altra falla è stata provocata dall’interno del Pd stesso. Il sindaco di Firenze Matteo Renzi, infatti, aveva categoricamente escluso il suo appoggio a Marini e ieri, con chi gli chiedeva di esprimersi su una eventuale spaccatura nel Pd è stato chiaro: «Certamente». E ha spiegato: «Credo che quando si elegge il presidente della Repubblica c’è in ballo il futuro dell’Italia, che è più importante di quello del Partito Democratico». Del resto, «in campagna elettorale – ha aggiunto – dicevamo prima l’Italia, poi il partito e alla fine il candidato. Qui invece abbiamo dato l’impressione di fare il contrario, di preoccuparci prima del candidato, poi del partito e poi dell’Italia». Bersani ha scelto da solo, forse si è consultato coi suoi, ma di fatto è andato a Montecitorio più solo che mai. La dura assemblea del Pd della sera precedente, in cui era stato presentato Marini come candidato, aveva registrato 90 voti contrari e 21 astensioni. Pesante la critica di un altro escluso dai giochi ormai da tempo, ma comunque lucido nell’analisi, ovvero Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista: «Nell’inciucio tra Bersani e Berlusconi è finito in pattumiera il centrosinistra. L’unica strada per dare un segnale di cambiamento che ascolti la richiesta che sale dal Paese è il voto a Stefano Rodotà». Sempre Ferrero ha aggiunto: «Parallelamente si costruisca una sinistra vera, alternativa alla destra e al centrosinistra: il Pd è finito». Bersani ha voluto condurre i giochi da solo nel Pd, e pur col sostegno del centrodestra è stato sconfitto. Figuraccia imperdonabile.

                SCOSSE CITTADINE (3/3)


                  Subito dopo il terremoto


                    Parla l’economista Vaciago: «La ricostruzione? Mal gestita»


                      «Tempestivi i provvedimenti, ma inefficaci gli strumenti burocratici adottati». Così l’economista Giacomo Vaciago sintetizza il proprio giudizio sulla ricostruzione post-sisma in Emilia. Ospite ieri dell’assemblea elettiva di Confesercenti Modena, l’editorialista del Sole 24 Ore (intervenuto anche sulla questione di piazza Roma, vedi pagina 6 di questo giornale) ha parlato dei problemi che, a quasi un anno dall’evento sismico, vedono il territorio modenese ancora in gravi difficoltà. «Nel contesto di un sistema efficiente, in 5 anni vi dimentichereste del terremoto», ha osservato Vaciago, sottolineando come le scosse del maggio 2012 abbiano provocato danni più al sistema produttivo che alle abitazioni. Secondo il noto economista, gli eventi drammatici come i terremoti sono una sorta di cartina tornasole per valutare «la capacità e l’efficienza con la quale l’amministrazione pubblica riesce a risolvere i problemi che si presentano». E «in questo caso – afferma il professore – abbiamo visto che la capacità di affrontare l’emergenza con strutture adatte è stata inferiore al necessario». Vaciago guarda alla storia: «I romani in questi casi nominavano un dittatore con pieni poteri che si sostituiva completamente all’ordinaria amministrazione, in modo tale da avere una gestione concentrata sull’emergenza e con la capacità di risolvere rapidamente i problemi». «Se affidi questi compiti all’amministrazione normale, ai sindaci o al presidente della Regione, che hanno già un mare di altre cose da fare – fa notare l’economista -, i tempi sono troppo lunghi. Quando è danneggiata una struttura produttiva, che per definizione non può non porsi il problema della sua sopravvivenza, il pericolo vero è che se ne vada verso una più accogliente località limitrofa, facendo perdere per sempre al territorio quella capacità produttiva». «Questo – scandisce Vaciago – era da capire fin dal primo giorno: si doveva dare priorità alla ricostruzione giorno e notte. Quando c’è un’emergenza, i cantieri devono lavorare 24 ore su 24». (em)

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