Entro sette giorni, massimo dieci, quando arriveranno dati certi anche dall’Africa e dal Sud America, l’Organizzazione mondiale della sanità potrebbe annunciare la parola fino ad oggi impronunciabile, ovvero pandemia. I singoli Stati a quel punto dovrebbero seguire i piani dell’Oms per impedire che il virus dilaghi attuando misure che possono andare dallo stop alle attività produttive ai limiti alla circolazione anche via terra e che potrebbero essere applicate in primis nel nostro Paese, che ha il maggior numero di casi dopo Cina e Corea del Sud.
Attualmente per l’Oms ci troviamo comunque nella fase 5, quella di «allerta pandemica», nella quale la risposta è quella che gli epidemiologi definiscono di «contenimento», quando si può ancora isolare una persona colpita e poi tracciare e mettere in quarantena i suoi contatti. Quando la diffusione non è più contenibile, e se il trend non cambierà lo sarà fra massimo 10 giorni, si passa alla fase successiva, quella di mitigazione, dove si cerca di ridurre il danno il più possibile.
Con la dichiarazione dello stato pandemico l’Oms può mandare i suoi operatori in loco, come fanno i caschi blu dell’Onu e chiedere ai singoli stati di attuare specifiche misure di contenimento, non rispettarle equivale ad una mancata applicazione di norme internazionali.