E’ la fotografia di un ’Ndrangheta autonoma evoluta e tecnologica quella presente a Reggio Emilia, che emerge dalle motivazioni della sentenza Aemilia. Oltre 3000 pagine da oggi accessibili e che si aprono con le dichiarazioni del pentito Antonio Valerio
“La ‘ndrangheta qui a Reggio Emilia è autonoma, evoluta e tecnologica. Non sono le nostre origini la discriminante, ma ciò che siamo: mafiosi e ‘ndranghetisti, maledettamente organizzati. Qui l’ndrangheta ha vestito un abito nuovo, presentabile, pur rimanendo fedele alla sua «consolidata fama criminale”
Sono le dichiarazioni del pentito di ‘ndrangheta Antonio Valerio, pronunciate nell’aula del processo Aemila l’11 ottobre del 2018, e scelte dai giudici del processo Aemilia Francesco Caruso, Cristina Beretti e Andrea Rat per aprire le 3.169 pagine delle motivazioni della sentenza di primo grado del più grande processo alla ‘ndrangheta al nord celebrato a Reggio Emilia. Quello che per quasi tre anni – dal 23 marzo 2016 al 16 ottobre 2018 – ha visto sul banco degli imputati gli esponenti della cosca Grande Aracri di Cutro ed è terminato il 31 ottobre dell’anno scorso con condanne per 125 dei 148 imputati e più di mille anni di reclusione comminati.
Parole, quelle del pentito, che forse più di ogni altro aspetto descrivano con lucida freddezza una realtà che lo stesso Valerio ha descritto rivolgendosi alla corte.
“Signor presidente a Reggio Emilia siete tutti, nessuno escluso, sotto uno stadio di assedio e assoggettamento ‘ndranghetistico che non ha eguali nella storia reggiana, nemmeno i terroristi erano arrivati a tanto”.
Del sodalizio criminale che unisce pur in una via acquisita autonomia reggiana, l’Emilia e Cutro, i giudici scrivono che la realtà entrata in affari con l’organizzazione criminale, al punto da convincersi della proficuità dell’utilizzo dei suoi metodi di cui è talvolta rimasta vittima’. Un ‘passaggio storico’, proseguono Caruso Beretti e Rat, dove giocano un ruolo fondamentale ‘i mafiosi ritenuti tra virgolette ‘puliti’ in grado di creare ricchezza illecita, finanziare l’azione della cosca e di reimpiegarne le ricchezze, nonchè soggetti capaci, per il loro carisma e per la loro affidabilità, di avvicinare nuovi imprenditori e di creare nuovi rapporti economici e relazioni anche con le istituzioni e con esponenti del settore creditizio. A proposito delle prove, la Corte sottolinea l’importanza dell’imponente mole di intercettazioni ambientali e telefoniche (25.000 contatti che hanno dato corpo nel loro complesso ad una perizia trascrittiva composta da quasi 90.000 pagine). Infine, i giudici, il filo rosso che lega tutte le vicende, lo spiegano cosi’:
‘Dietro ai singoli affari è possibile vedere scolpito il rapporto tra il sodalizio cutrese e quello emiliano che, ciascuno nella propria autonomia, operano sinergicamente per la massimizzazione del proprio interesse economico, secondo collaudate modalità di azione attuate tramite soggetti di fiducia che operano come anello di collegamento tra gli affari del sud e quelli del ben più generosi del territorio emiliano’.
Il quadro si completa nel capitolo delle motivazioni sul ‘delitto associativo’, dove si parla dei ‘grandi affari’ della cosca. Vicende che, si legge, ‘sono in grado di dimostrare, nella loro maestosità. l’esistenza stessa della associazione mafiosa, del suo poderoso apparato organizzativo e della sua potenza economica’.






































