Parte da un passo tratto dal Vangelo secondo Matteo l’omelia del Vescovo di Modena e Nonantola Monsignor Erio Castellucci. Un’omelia che riflette sulla speranza nascosta tra le fragilità umane e il ruolo che hanno le istituzioni nel non lasciarla appassire
In un Duomo completamente ristrutturato, si è tenuta la Santa Messa in occasione della celebrazione del Santo Patrono San Geminiano, officiata dal Vescovo di Modena e Nonantola Monsignor Erio Castellucci. Un ritorno nella Cattedrale all’insegna della speranza. Questo il cuore della lettera del Vescovo alla città, ma anche della sua Omelia, preceduta da un passaggio tratto dal Vangelo secondo Matteo.
“Le folle erano stanche e sfinite”, da qui parte la riflessione del Vescovo. Anche oggi le folle sono stanche e sfinite. Lo dicono i numeri della povertà in tutto il mondo, ma anche le realtà a noi più vicine. Sottolinea Monsignor Erio Castellucci, come sia facile incontrare fragilità anche, nelle malattie, nelle perdite, nelle infermità. “Ma nelle nostre case non sono piantate solo le croci, ma anche i semi di speranza e di vita”. Una speranza che passa anche dalle istituzioni, a cui il Vescovo dedica una lunga riflessione. Ai nostri giorni un forte elemento di disturbo rischia di falsare la relazione tra la folla e le guide: l’arroganza. Espressione di un’aggressività irrazionale, l’arroganza sembra voler diventare lo stile delle relazioni pubbliche. Slogans ripetuti come dei mantra, ma discordanti dalla realtà dei fatti; sfoghi rabbiosi incrementati dalla rete, attraverso siti e blog che rilanciano espressioni un tempo riservate ai bar e alle taverne. Tutte le istituzioni oggi, in diversa misura, sono bersaglio di critiche violente, che arrivano fino alla diffamazione. Non ne è immune nemmeno il Presidente della Repubblica, anzi nemmeno il Papa. I pastori non possono lasciarsi travolgere dal frastuono dell’arroganza, che sovrasta la voce dei deboli; le guide sanno tendere l’orecchio verso chi grida di meno e soffre di più, spesso nel silenzio. Le “folle stanche e sfinite” di cui parla il Vangelo non sono quelle che fanno più rumore e aggrediscono il prossimo, ma quelle che faticano a farsi sentire, perché fragili e ferite. È il momento di chiamare a raccolta tutti gli operai della speranza, andando contro la corrente dell’odio divisivo e alimentando le grandi risorse della gente che lavora, si concentra più sull’impegno che sul lamento, e si adopera per la costruzione della comunità civile e religiosa. È il momento, per le istituzioni, di rischiare l’impopolarità in nome della profezia, di uno stile cioè che recuperi i valori fondamentali della convivenza umana.






































