Quattro anni dopo l’alluvione che mise in ginocchio la Bassa modenese si avvicina una prima verità. Ad un’ipotesi di reato di disastro colposo dovranno infatti rispondere tre indagati. Secondo indiscrezioni non confermate né smentite, tra i nomi ci sarebbero un dirigente Aipo e due vigilanti

Le nutrie sono scagionate. Ci sarebbe infatti lo zampino dell’uomo dietro all’anomala rottura dell’argine del Secchia, che nel 2014 mandò sott’acqua la Bassa modenese. Accadeva il 19 gennaio e al tempo qualcuno ipotizzò che la colpa fosse delle tane delle nutrie, scavate troppo in profondità nell’argine. Quattro anni dopo si avvicinano le prime verità sull’accaduto e nulla centrerebbero gli animali. È stata infatti confermata l’ipotesi di reato di disastro colposo, alla quale dovranno rispondere tre indagati. La procura li ha convocati e nei prossimi giorni parleranno al pubblico ministero titolare Pasquale Mazzei. Secondo indiscrezioni né confermate né smentite, uno degli indagati sarebbe un dirigente dell’Agenzia interregionale per il fiume Po. Gli altri sarebbero invece due vigilanti che all’epoca avevano il compito di sorvegliare il fiume nel tratto della località San Matteo, dove ha avuto inizio la disgrazia che causò la morte di Oberdan Salvioli, il 43enne che venne inghiottito dall’acqua mentre era impegnato ad aiutare i Vigili del Fuoco per portare in salvo i suoi compaesani. I danni ai privati e alle imprese furono incalcolabili: nel luglio dello stesso anno il Governo stanziò 210 milioni di euro.