Dopo l’operazione portata a termine ieri dai Carabinieri, si torna a parlare del campo nomadi di San Matteo, dove vivevano cinque degli arrestati. La situazione descritta dai Militari, infatti, è ben diversa da quella di cui aveva parlato lo scorso novembre il sindaco Muzzarelli
E’ tornato prepotentemente alla ribalta il caso legato all’accampamento di nomadi sotto la Tav ai margini di via Canaletto, in zona San Matteo, dopo l’operazione portata a termine dai Carabinieri che hanno smantellato una banda di nomadi di etnia bosniaca dedicata allo sradicamento di Bnacomat non solo a Modena, ma anche in altre regioni d’Italia.
Cinque delle sei persone arrestate ed ora in carcere, infatti, vivevano nel campo che a fine 2016 era stato oggetto di un’interrogazione in consiglio comunale, a cui il sindaco Muzzarelli aveva risposto che nei 188 controlli effettuati in 103 giorni erano stati allontanati tutti coloro che nulla avevano a che fare con il provvedimento di arresti domiciliari che aveva colpito Seferovic, uno degli abitanti della roulotte che dal 2014 giacciono nella zona, e che i risultati di tutti questi controlli erano condivisi fra la Polizia Municipale e tutte le altre forze dell’ordine.
Seppur la zona non facesse parte delle microaree regolamentate per nomadi, la situazione era stata tenuta sotto controllo e tollerata proprio per la particolare situazione di Seferovic, che da gennaio però è tornato un uomo libero. In realtà, invece, a quanto emerge dal racconto dei Carabinieri, già dalla fine del 2015 il campo era la base utilizzata per una lunga serie di atti criminosi nonché il luogo dove venivano nascoste le casseforti per poi essere aperte. Uno scenario di illegalità e degrado ben più preoccupante di quanto non lo fosse la sola situazione di abusivismo e le difficoltà di convivenza con i cittadini residenti nella zona.



































