Macchie emostatiche sull’addome. Una cintura in pelle intorno al collo. Il corpo trovato supino e una persona che frequentava abitualmente quella casa e che ora risulta introvabile. Sono questi i punti su cui si stanno concentrando le indagini sulla misteriosa morte di Raffaele Marangio, lo psicoterapeuta di 78 anni trovato senza vita il 26 luglio scorso nella sua abitazione di via Stuffler. Il primo elemento a far vacillare la pista del gesto volontario è stata proprio la posizione del corpo: la salma era distesa supina, composta, quasi innaturale secondo gli esperti. Una postura che non corrisponderebbe a quella tipica di un suicidio, e che lascerebbe invece pensare all’intervento successivo di una seconda persona. A rafforzare questa ipotesi, la presenza di macchie di sangue sull’addome, compatibili con il ristagno post mortem. Un indizio che secondo i consulenti fa presumere che il corpo sia stato girato dopo la morte. Forse da chi lo ha ucciso. O da qualcuno che, trovandolo già privo di vita, lo ha ricomposto. Ma anche in quel caso, si tratterebbe comunque di un’azione penalmente rilevante. Altro elemento centrale è la cintura: si tratta di un accessorio in pelle e dunque non elastico, non facilmente regolabile per provocare la morte da soli. Per stringerla fino all’asfissia, sarebbe servita la forza di un’altra persona.  Nel frattempo, dai primi riscontri dei tabulati telefonici è emersa la presenza costante di una figura nella vita di Marangio: una persona che lo contattava spesso e che, secondo i vicini, frequentava regolarmente la sua casa. Forse un conoscente stretto o un ex paziente. Al momento, però, questa persona non è stata identificata. Il quadro è ancora tutto da definire e l’assenza di movente evidente complica il lavoro degli inquirenti. Marangio si stava preparando a trasferirsi a Roma, dove avrebbe raggiunto la figlia.