Nel vocabolario del mutualismo emiliano la parola fusione sembra essere vergata in stampatello maiuscolo. Un concreto pensierino verso laggregazione, ha suggerito Dario Di Vico sul Corriere della Sera di ieri, lo fanno le strutture territoriali di Legacoop, sullesempio di Confindustria e, forse, della Fiom. Ma mentre lassociazione datoriale vuole unire Modena a Reggio Emilia e Bologna, nel caso della centrale cooperativa il terzo anello della catena sarebbe Parma. Una simile operazione ricalcherebbe, in senso geografico, le possibili integrazioni tra singole aziende (vedere articolo a lato), in particolare della grande distribuzione. In verità, forse ancora sino al 2013, i supermercati rossi sognavano di abbandonare il modello federale e creare ununica grande Coop con la c maiuscola. Anzi, un soggetto del genere esiste già, e si chiama Coop Italia: solo che il suo compito è limitato al coordinamento delle politiche commerciali tra le varie catene territoriali, e non si estende alla gestione diretta dei punti vendita. Il presidente, sino a inizio estate, era Vincenzo Tassinari: la sua uscita di scena, per far spazio a quel Marco Pedroni proveniente proprio dalla Nordest, parve però segnare il definitivo tramonto del sogno di cui sopra. E molto pesarono le divergenze tra i manager emiliano-romagnoli e quelli toscani, già scontratisi per vicende di carattere bancario, vedi Unipol e MontePaschi. Ora, appunto, in Legacoop emerge una frattura allinterno dello stesso nucleo duro padano: emiliani da un lato, la Dotta e i rivieraschi dallaltro. Anche nelledilizia, il comparto certo più colpito dalla crisi dellultimo lustro, pare ormai vicino un asse tra modenesi e reggiani: se per ora hanno progettato le nozze Coopsette e Unieco, entrambe entrate e uscite dal pre-concordato nel 2013, non è escluso che un giorno possa far loro compagnia la Cmb di Carpi. (ni.ted.)