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Una super donazione per l’ospedale


    In funzione un macchinario per i bronchi da 290mila euro

    Le donazioni permettono di investire sui servizi al Santa Maria Bianca. Il nosocomio mirandolese ha infatti attivato il nuovo ecobroncoscopio acquistato grazie all’associazione ‘La nostra Mirandola’. Si tratta di uno strumento da quasi 300mila euro che attualmente solo pochi ospedali in Italia utilizzano. L’apparecchiatura serve per effettuare esami diagnostici estremamente accurati nei bronchi e nei polmoni. La scorsa settimana, in sala operatoria a Mirandola, l’équipe di Pneumologia diretta da Michele Giovannini ha effettuato, per la prima volta nella nostra provincia, un’indagine diagnostica con l’ecobroncoscopio. L’esame è perfettamente riuscito e la paziente è stata dimessa il giorno successivo. Un risultato importante, a oltre un anno dal sisma. «Sono già in programma altre sedute operative – annuncia il responsabile dell’unità operativa di Pneumologia Michele Giovannini -. Dobbiamo ringraziare il grande entusiasmo che ha saputo dimostrare l’associazione ‘La nostra Mirandola’». Per questo progetto, infatti, è stato messo a disposizione un contributo ingente, circa 290mila euro, che ha permesso di dotare l’ospedale di un ecobroncoscopio ad alta risoluzione. Un impegno speso in prima persona da Nicoletta Vecchi Arbizzi, al vertice della onlus ‘La nostra Mirandola’. A Mirandola, grazie all’innovativa attrezzatura, è ora possibile effettuare durante la broncoscopia esami bioptici delle lesioni dei bronchi e, quando le immagini radiologiche mostrano linfonodi ingrossati normalmente non aggredibili, è anche possibile effettuare biopsie sulle lesioni sotto guida ecografica. I risvolti positivi nell’utilizzo di questa innovativa tecnologia sono tanto più significativi se si considera che il tumore ai polmoni rappresenta, ancora oggi, una patologia diagnosticata tardi, in cui l’intervento chirurgico risulta possibile solo nel 30% dei pazienti.

    Finale: omaggio Anc all’88enne brigadiere Fedi


      FINALE – L’Associazione Nazionale Carabinieri, insieme alla Stazione CC. di Finale, ha reso omaggio martedì all’88enne Brigadiere Mario Fedi. Pistoiese del 1925, una vita dedicata all’Arma, cavaliere, è stato per quasi trent’anni Presidente della Sezione ANC di Finale intitolata al ‘Brigadiere Armando Sepe, Medaglia d’Argento al Valore Militare’. Nella chiesa finalese del Seminario davanti alla quale era schierata, con il Comandante Luogotenente Cappello, una folta rappresentanza provinciale dell’ANC e del Nucleo di Protezione Civile ANC, è stata recitata la ‘Preghiera del Carabiniere’ dal ‘veterano’ Corrado Gallerani che di Mario Fedi era stato vice. Alla cerimonia ha preso parte per l’amministrazione comunale l’assessore Massimiliano Righini e per l’associazionismo una squadra dell’Associazione Bersaglieri.

      Post-sisma, quei 20 milioni spariti


        ECONOMIA ò28

        Lo Stato può essere vicino ai cittadini


          Il Prefetto telefona alle vittime di furti e rapine

          MODENA – «Pronto, sono il prefetto di Modena». Chissà, forse all’altro capo del telefono avranno pensato ad uno scherzo, ma in realtà era tutto vero: Michele Di Bari, prefetto di Modena da poco più di un mese, ha chiamato alcuni modenesi, vittime di quei reati predatori come rapine, furti e scippi, che stanno creando apprensione in città. Un modo per fare sentire la vicinanza dello Stato, un’iniziativa piena di significato da parte del nuovo rappresentante del governo in terra modenese. Di Bari ha preso la cornetta e ha composto i numeri di persone che avevano visto la propria casa svaligiata dai ladri, o che erano stati affrontati da un malvivente con bruttissime intenzioni. «Bisogna partire dal presupposto che forze di polizie e magistratura a Modena stanno facendo un lavoro egregio – spiega lo stesso Di Bari -. Episodi come furti in casa, rapine e scippi non devono capitare, ma purtroppo capitano. Ed è il minimo fare sentire la solidarietà dello Stato alle vittime». Nonostante il generale calo dei reati, la percezione della sicurezza a Modena rimane legata all’escalation di episodi di microcriminalità che affligono determinate zone, interi quartieri, ma anche lo stesso centro storico. Ultimo in ordine cronologico l’aggressione ad una 34enne che passeggiava in corso Canalgrande, di fronte al Tribunale, rapinata della borsetta da una coppia di malviventi a bordo di un’auto. «Le vittime di questi reati devono sapere che non sono sole – ribadisce il prefetto -, lo Stato c’è, così come le istituzioni locali e le forze di polizia. La sicurezza partecipata è anche questo». Pur non volendo entrare nel contenuto delle telefonate, Di Bari fa capire che sono diversi i modenesi ai quali ha fatto sentire la propria vicinanza, riscontrando reazioni di stupore (all’inizio, comprensibile) ma anche di grande soddisfazione. La particolare attenzione per la sicurezza cittadina è una delle caratteristiche che il nuovo prefetto ha portato con sè al momento dell’insediamento. Ha immediatamente convocato il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, facendo il punto della situazione, per non lasciare nulla di intentato in un tema così delicato e che attiene alle condizioni di vita di un’intera comunità. nDaniele Franda

          Alunni disabili, le istituzioni si interrogano


            PRIMO PIANO ò5

            Preso ricercato romeno per omicidio colposo


              L’uomo si nascondeva in città per sfuggire a una pena di 6 anni

              E’ finita a Modena la latitanza di un trentenne rumeno, V.F.M., arrestato dalla polizia municipale nei giorni scorsi, ricercato in Romania per omicidio colposo. Per l’uomo sono scattate le manette perché deve scontare una pena detentiva di sei anni e sei mesi nel suo paese d’origine. Il reato contestato è appunto omicidio colposo per un incidente avvenuto il 30 marzo dello scorso anno a Sibiu, in Romania. L’uomo, alla guida di una Opel e completamente ubriaco, finì fuori strada a 160 chilometri all’ora. Nell’urto il passeggero, un diciannovenne, perse la vita. Non solo aveva un tasso alcolemico superiore ai limiti consentiti, ma V.F.M. non aveva nemmeno la patente: quella esibita era falsa, comprata per 50 euro nel 2009 in Spagna. Secondo la ricostruzione della Polizia municipale, il romeno nell’agosto di quest’anno si trova in Italia e gli agenti lo fermano a Modena un paio di volte nel corso di controlli stradali: è sempre senza patente al seguito, ma dichiara di averla dimenticata a casa e, sul momento, risolve la questione pagando la sanzione, visto che guida auto con targa straniera. La seconda volta, però, il tasso alcolico è troppo elevato per cui scatta la sanzione penale. L’uomo afferma di abitare a Roma, così come l’amica connazionale che lo accompagna e lo ospita. Ma gli agenti, non convinti di questa versione dei fatti, iniziano una serie di indagini, attraverso varie banche dati e la verifica dei movimenti a Modena dell’auto. Le indagini proseguono fino ad accertare che l’uomo ha anche precedenti per rapina e furto in Italia. Sui suoi trascorsi in patria, però, non emerge nulla sino a quando l’Ambasciata di Romania risponde alla richiesta di informazioni della Polizia municipale, che viene così informata dell’esistenza del mandato di arresto europeo (detto Mae). A quel punto, individuato il domicilio, scatta l’arresto.

              Ilva, il caso arriva a Modena (e torna indietro a mani vuote)


                Avrebbero dovuto essere eseguiti anche a Modena alcuni sequestri nell’ambito dell’inchiesta sul gruppo siderurgico Riva e il noto polo Ilva di Taranto. Ma quando i finanzieri modenesi, al comando del tenente Michele Pallini, si sono recati in banca per sequestrare i conti correnti delle società riconducibili al gruppo, la sorpresa: erano vuoti. Nel resto d’Italia comunque la Gdf ha recuperato qualcosa come 916 milioni di euro.

                GIUSTIZIA E DINTORNI


                  Le droghe e la tutela della salute

                  Coltivare marijuana in giardino? Fenomeno allarmante e in crescita


                    E in questi giorni sono stati assolti due ‘coltivatori’

                    Quelle piantine di marijuana erano per uso personale, non c’è alcuna prova di spaccio. Con questa motivazione il giudice ha assolto un giovane di Fanano, arrestato (e subito liberato) nei giorni scorsi perché pizzicato dai carabinieri mentre innaffiava una, pur modestissima, coltura di erba all’interno del giardino di casa. E’ una sentenza che farà discutere quella del Tribunale di Modena, che arriva a pochi giorni da un’altra decisione simile: un altro giovane, finito in manette perché aveva piantato una coltivazione di marijuana nel giardino della nonna, era stato assolto perché non vi era prova che quell’erba contenesse Thc, il principio attivo responsabile dell’effetto dopante della canapa. Due assoluzioni, per due motivi diversi, ma che contribuiscono a modificare la giurisprudenza in materia: «E’ una sentenza faro» ha commentato con soddisfazione il legale del giovane, l’avvocato Luca Brezigar. Il difensore si è rifatto ad una sentenza della Cassazione con cui i giudici supremi avevano stabilito che fosse il giudice a dover verificare la reale ‘pericolosità’ della coltivazione. In pratica, è passato l’assunto per cui il giovane producesse marijuana non per immetterla sul mercato (questo il pericolo concreto), ma solo per se stesso. Eppure ad oggi la norma non è stata modificata e prevede che chi coltiva piante da cui è possibile ricavare sostanze stupefacenti o psicotrope, dev’essere punito. In realtà, presso la Commissione Giustizia della Camera è in discussione una proposta di legge per la «depenalizzazione della coltivazione domestica» di piante come la marijuana appunto. Una possibilità fortemente osteggiata da larghe fette della società, che hanno risposto con una petizione per frenare la proposta: «L’uso di droga – si legge nel testo della petizione – non è dannoso perché vietato dalle leggi italiane ed internazionali, ma perché mortifica la dignità umana danneggiandone la volontà, la memoria e l’intelligenza, alterandone, in maniera temporanea o permanente, la personalità. Per questo la Chiesa condanna l’uso di droga, perché moralmente è ‘sempre illecito’, in quanto comporta una rinuncia ingiustificata ed irrazionale a pensare, volere e agire come persone libere». nDaniele Franda

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