E alla fine anche il compassato dottor Fabrizio Viola, modenese per tre anni come amministratore delegato del Gruppo Bper, perse la pazienza. «Non voglio passare per quello che ostacola tutto per ragioni personali», avrebbe detto ai suoi collaboratori l’attuale capo azienda del Monte de’ Paschi di Siena, secondo il Corriere della Sera di ieri. La questione è la seguente: l’Unione europea, smentendo le aspettative dell’istituto toscano, ancora non ha dato l’ok al piano di salvataggio della banca, piano che passa per i famosi 4 miliardi di Monti-bond e, conseguentemente, per la possibile nazionalizzazione. Checchè lui ne dica, nei ritardi di Bruxelles il dottor Viola c’entra eccome. E c’entra pure una questione non personale, ma personalissima come il suo stipendio. «Le nuove regole Ue sui salvataggi bancari», scrive il CorSera, «impongono che i top manager guadagnino non più di 15 volte il salario medio nazionale o 10 volte il salario medio dei dipendenti dell’istituto». In pratica, l’amministratore delegato di Mps non potrebbe percepire ogni anno più di 500mila euro, forse qualcosa in più, forse qualcosa in meno. In ogni caso, sarà una cifra ben inferiore agli 1,6 milioni portati a casa nel 2012. E soprattutto una cifra ben inferiore alla remunerazione, a dir poco lauta, ricevuta ai tempi della Popolare dell’Emilia-Romagna, quando Viola arrivava a quota 1 milione e 830mila euro. Insomma, le regole di Bruxelles comporterebbero per il manager di origine romana una bella rinuncia economica. Alla faccia della questione personale. I guai, a Siena, li hanno però combinati le precedenti gestioni, sottolinea il CorSera. Obiezione fondata, se non fosse che comunque Viola, per risanare l’azienda creditizia toscana, ha già avuto quasi due anni. Se quel risanamento fosse avvenuto, forse non ci sarebbe stato bisogno dei soldi pubblici. Ma i denari dello Stato, a Siena, ci sono già finiti per davvero, e appunto altri ne finiranno: e allora bene fa l’Unione europea a mettere dei paletti alle paghe dei top manager. Al di là dei numeri, Bruxelles pone una questione di principio: non si può prima gravare sui contribuenti, sulla collettività, e poi continuare come se niente fosse a garantire gli interessi particolari della casta bancaria. Quella casta, ovviamente, non trova casa solo a Siena. A pochi metri dalla Ghirlandina, il presidente della stessa Bper, Ettore Caselli, nel 2012 ha percepito 481mila euro, mentre l’amministratore delegato Luigi Odorici, pur essendo meno costoso del predecessore, è arrivato a 1 milione e 122mila euro. Per la Popolare, sia chiaro, non è previsto alcun piano di salvataggio, e nessuna nazionalizzazione. Però la Bper, in virtù della forma cooperativa e del radicamento sul territorio, dovrebbe essere patrimonio dei tanti e non dei pochi: e invece nel 2012 ha chiuso in perdita il bilancio, non ha remunerato i soci, e ha chiesto sacrifici ai dipendenti. Non pensate, dunque, che un tetto agli stipendi dei piani alti serva pure in Via San Carlo? Se i lavoratori fanno delle rinunce, queste rinunce devono tanto più ricadere sulle spalle del management. Se dolori devono essere, che siano per tutti.