Il Comandante: «Meglio non parlare del quadro»

Si respirava un’aria carica d’imbarazzo giovedì pomeriggio nell’Aula Magna dell’Accademia Militare in occasione della presentazione di un’opera bella e meritoria, la ricostruzione multimediale della quadreria di Francesco I d’Este, e che però incrociava un nome ormai divenuto scomodo a Modena, e tanto più dentro al perimetro marziale dell’Accademia, il nome di uno degli artisti di punta della corte del duca, Giovan Francesco Barbieri detto Guercino, tirato per la giacchetta insieme con il suo principe mecenate per via dell’attribuzione forzata al suo pennello del (brutto) dipinto Giuseppe e la moglie di Putifarre, attualmente esposto nella Sala dello Stringa del Palazzo Ducale- Accademia Militare. Un dipinto di proprietà privata che ha scatenato vivacissime polemiche e che ha determinato la presa di distanza dall’attribuzione guercinesca dei maggiori storici dell’arte modenesi, nonché di studiosi e docenti del calibro di Massimo Pulini, Tomaso Montanari e Vittorio Sgarbi (intervistati dal nostro quotidiano). Ormai arroccati su quell’autografia incredibile e impossibile ci sono solo i due curatori della mostra in corso, il pur autorevole (ma per molti incomprensibile, in questo caso…) Nicholas Turner e Federica Gasparrini, che però si sono chiusi in un ostinato silenzio, esattamente come il proprietario dell’opera, la Fondazione dell’ortopedico Stefano Zanasi, che da giorni tentiamo vanamente di contattare per sapere se accetterà il confronto all’americana del suo “pseudoGuercino”, come ormai tutti lo chiamano, con gli splendidi e certissimi Guercino che Modena conserva nelle proprie collezioni pubbliche di origine estense. Ebbene, l’altro pomeriggio in Accademia l’imbarazzo, era, come dicevamo, palpabile e pesante. Al punto che il Generale Comandante, Giuseppenicola Tota, per sua stessa, spontanea, simpatica e pubblica ammissione, ha spiegato: «Mi hanno detto di non nominare il quadro», proprio l’ospite ingombrante collocato due piani più in alto e che pesava come un macigno sul tavolo dei relatori. Soprintendente in testa dal viso tirato e il timore nel cuore… Peccato. Peccato davvero. Perché se il Guercino esposto fosse stato attendibile, Francesco I d’Este sarebbe stato il naturale e prestigioso trait d’union tra i due eventi, lui formidabile intenditore di pennelli che però mai si sarebbe messo in casa, mai nelle sue magnifiche Camere da Parata, quel Giuseppe e la moglie di Putifarre che Daniele Benati non ha esitato a definire «una bufala». E così, sulla scorta di una consapevolezza ormai dilagante e diffusa, il fatto che il dipinto di proprietà Zanasi non sia assolutamente riferibile al Guercino, nessuno dei relatori ha osato neppure nominarlo, il maestro centese. Nessuno, tantomeno, si è spinto a mettere in relazione il duca geniale creatore della quadreria con il duca strombazzato committente della modesta opera esposta. Del resto, i presupposti perché il pomeriggio si complicasse c’erano tutti, a partire dalle dichiarazioni rilasciate in settimana al nostro giornale proprio dal generale Comandante Tota. Due su tutte: 1) d’aver avuto assicurazioni sull’autografia da istituzioni quali Comune, Provincia e Regione Emilia Romagna. Benissimo ha fatto il Generale a rivolgersi a queste istituzioni, speriamo solo che gli storici dell’arte consultati non siano stati Giorgio Pighi, Emilio Sabattini e Vasco Errani. 2) d’aver esposto lo “pseudoGuercino” di proprietà della Zanasi Foundation dopo che la Zanasi Foundation aveva contribuito al restauro di tre stanze del Palazzo Ducale, prossime ad accogliere altri eventi. Insomma, un do ut des che può anche essere una scelta sostenibile nell’ottica di trovare risorse per la salvaguardia del Palazzo Ducale, e che però deve avere come controparte esposizioni all’altezza del Palazzo Ducale stesso. D’accordo che in questi tempi di vacche magre, anzi magrissime, il mecenatismo contemporaneo accolga queste permute, il restauro di opere o ambienti di un edificio da parte di un privato in cambio dell’esposizione di un’opera del privato stesso. A patto però che l’opera non sia spacciata per un capolavoro, ma sia un capolavoro autentico, specie se riferito a un grande maestro, il capolavoro avvalorato dal giudizio condiviso della comunità storico-artistica. Oppure, come sostiene Vittorio Sgarbi, l’opera problematica di un artista minore pubblicamente discussa. Perché è ospitandovi, invece, operazioni dubbie che sviliamo il nostro principale monumento civile e lo accreditiamo sulla scena nazionale e internazionale come contenitore museale debole. nRoberta Iotti