Prima la ‘cresta’ poi i soldi all’estero. Manette per altri 6

La Polizia valutaria della Finanza ha eseguito ieri sette arresti nei confronti di soggetti coinvolti in una presunta truffa a Banca Carige, il settimo istituto per dimensioni in Italia. Il nome più eccellente è proprio quello dell’ex presidente, Giovanni Berneschi, che tuttora è il numero due dell’Abi e che figura tra le tre persone finite ai domiciliari (vedere box). Direttamente in carcere, invece, la nuora Francesa Amisano. Oltre che a Genova, il gip della Lanterna Adriana Petri ha disposto perquisizioni a Milano e La Spezia, nonché il sequestro di beni per 22 milioni. Le manette sono scattate proprio il giorno dopo il parziale fallimento dell’asta che la Fondazione aveva indetto sul mercato per vendere un 15% della banca. A parte la truffa aggravata, il procuratore aggiunto Nicola Piacente e il sostituto Silvio Franz contestano ai destinatari dell’ordinanza cautelare, a vario titolo, i reati di associazione a delinquere, riciclaggio e intestazione fittizia di beni. Le Fiamme gialle spiegano infatti di aver dimostrato «l’esistenza di un management fortemente condizionato dal carismatico leader ventennale del gruppo bancario-assicurativo», Berneschi appunto. In sostanza, secondo l’ipotesi accusatoria sarebbe esistita una sorta di connection che già nel periodo dal 2006 al 2009 distraeva ingenti somme di denaro dalla cassa di società assicurativa del gruppo ligure, Carige Vita Nuova; il cui ex amministratore, Fernando Menconi, è finito ai domiciliari, come appunto Berneschi l’imprenditore Ernesto Cavallini. Le distrazioni avvenivano attraverso acquisizioni, in forma diretta o indiretta, di immobili e partecipazioni societarie facenti capo a persone compiacenti e il cui valore era palesemente sopravvalutato, il tutto con lo schermo di articolate operazioni commerciali e finanziarie. Erano delle creste, insomma, il cui ricavato era poi prontamente dirottato oltre i patri confini. «Le cessioni di quote di società create ad hoc consentivano il passaggio dei capitali a società fittizie residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, con clausole contrattuali che avrebbero dovuto dissimulare le reali consistenze e pulire, ad ogni transazione, ingenti somme di denaro», ha spiegato la Gdf. Non sorprende dunque che, in questo contesto, rilevante sarebbe stato il ruolo di mediatore svolto da un avvocato elvetico, Davide Enderlin, pure finito dietro le sbarre al pari del commercialista genovese Andrea Vallebuona e dell’imprenditore Sandro Maria Calloni. Attraverso il legale, sarebbero transitati i capitali, per nasconderne l’illegittima provenienza. In Svizzera sarebbero finiti circa 22 milioni di euro, parte dei quali reimmessa in un importante investimento immobiliare nella Confederazione. Di quegli immobili, gli effettivi titolari erano i massimi vertici del tempo del gruppo bancario-assicurativo. Tale strategia avrebbe visto, alla fine, anche il subentro nel suddetto investimento di un soggetto con precedenti per bancarotta. «Da quanto si apprende Banca Carige risulta parte lesa», ha scritto in una nota di ieri pomeriggio l’attuale presidente, Cesare Albani di Castelbarco. «Pertanto ci riserviamo di intraprendere, a tutela del Gruppo, tutte le più opportune iniziative nelle sedi competenti».