La fine degli Este Di figli da allora non ne erano venuti più, mentre con la Seconda Guerra d’Indipendenza tornavano identiche le paure di dieci anni prima, al punto che, per sicurezza, Francesco fece partire Adelgonda per Mantova il 30 aprile 1859, giusto in tempo per veder precipitare le cose sul versante occidentale di Massa e di Carrara, su quello oltrappenninico della Garfagnana e della Lunigiana, oltre che a Reggio, a Brescello e di nuovo all’Abetone, una sorta di valanga inarrestabile a cui il 17 maggio si aggiunse l’annuncio che «il principe Gerolamo Napoleone, comandante del V corpo d’armata francese, aveva ricevuto l’ordine di partire per Livorno con il compito di affrettare lo sgombero dei Ducati». Lo sgombero dei ducati: c’era, insomma, ben poco da sperare circa la continuità del governo legittimista di Modena. E infatti la sanguinosa battaglia di Magenta del 4 giugno successivo, con il ritiro dell’esercito austriaco sulle rive del Mincio, diede il colpo mortale alle sorti estensi, e malgrado in città non si fosse verificata alcuna insurrezione di popolo. Il 10 giugno, ricevuta la notizia dal quartier generale austriaco che anche la guarnigione imperiale di stanza nel ducato estense avrebbe raggiunto le truppe arroccate nel mantovano, e compreso quindi all’istante che l’evacuazione delle Legazioni «era sinonimo della vittoria della rivoluzione», Francesco V d’Austria Este si risolse inevitabilmente all’esilio, affidando la guida dello stato a una reggenza presieduta dal conte Giacobazzi. Il giorno dopo, 11 giugno 1859, l’ultimo duca del ramo austro-estense, che in sé riassumeva anche i tristissimi titoli di ultimo principe di Modena Capitale e di ultimo signore della quasi millenaria parabola politica estense, uscì all’alba dal palazzo e dalla città aviti: vestiva l’uniforme da generale dei Cacciatori del Battaglione del Reggimento di Linea, con il cappello guarnito d’oro e di piume; portava al fianco la sciabola sguainata; pallido, sprezzante e irato, mostrava un’espressione al contempo assorta e sdegnosa: ne aveva ben donde: non avrebbe mai più rivisto la terra che egli considerava la sua patria. La Brigata Estense Ciò che distinse la partenza di Francesco V d’Austria Este da quella degli altri sovrani italici spodestati dalla tempesta risorgimentale fu lo straordinario seguito che lo accompagnò, dove per ‘straordinario seguito’ non si intende una sfarzosa compagnia di gentiluomini, nobildonne, cortigiani e carri carichi di tesori, bensì un esempio assolutamente unico di fedeltà militare: 3623 soldati che spontaneamente lasciarono Modena, la casa e la famiglia per seguire in esilio il loro sovrano e comandante in capo, colui al quale avevano giurato sottomissione e lealtà e al quale sarebbero rimasti sottomessi e leali per cinquantadue mesi (dall’11 giugno 1859 al 24 settembre 1863), dovendo infine rassegnarsi allo scioglimento del vincolo per superiore disposizione dell’imperatore Francesco Giuseppe, non per volontà o scelta proprie. Tra questi vi erano anche alcuni illustri esponenti delle maggiori casate nobiliari modenesi, conti e marchesi che per decenni avevano servito fedelmente la Casa D’Este ricevendo in cambio privilegi e protezioni, e che ora optavano liberamente per seguire lo stesso infelice destino del loro ultimo sovrano. I Tacoli e i Forni si sarebbero distinti quali maggiordomi in esilio della duchessa Adelgonda. Tant’è che queste famiglie hanno ancora oggi rami dinastici tedeschi e discendenza oltre confine. Ribattezzati “Brigata Estense” proprio in seguito alla decisione di rimanere al fianco del principe decaduto come una sorta di truppa privata, i soldati dell’esercito austro-estense, fondato da Francesco IV e fin dall’origine saldamente devoto alla casata atestina, arrivarono fino a 5000 unità dopo l’esilio per l’adesione di molti volontari, tra cui numerosi sudditi modenesi e reggiani, desiderosi di arruolarsi tra quelle file eroiche al servizio di un signore senza più corona, ma con un altissimo credito internazionale quanto a nobiltà d’animo e coerenza con i propri ideali. Già abbattuti nella speranza di un possibile ritorno a Modena dalla disfatta austriaca nella battaglia di Solferino (24 giugno 1859), quindi sistemati alla meglio entro i confini del Lombardo-Veneto e stipendiati dall’impero, i soldati della Brigata Estense resistettero a molte difficoltà, e persino alle minacce del commissario regio Luigi Carlo Farini che, malgrado le rimostranze di Francesco V, già il 22 giugno del 1859 aveva scalzato la reggenza ducale e il 27 settembre dello stesso anno toglieva i diritti politici e civili ai militari ducali che non fossero rimpatriati entro il 15 ottobre seguente. Essi rimasero con Francesco. Il quale, quando giunse l’ora, non ebbe il cuore di annunciare personalmente ai suoi uomini la cessazione dei finanziamenti imperiali e la conseguente soppressione della Brigata, chiedendo al ministro della guerra austriaco di assumersi tale doloroso incarico. Il 24 settembre 1863, a Cartigliano Veneto, gli ex duchi D’Austria Este, in partenza per Vienna, loro destinazione finale, sciolsero ufficialmente l’esercito estense tra pianti dirotti e drammatici addii. A ogni soldato venne consegnata una medaglia con il motto Fidelitati et Constantiae in Adversis. L’ultima garanzia che Francesco ottenne per loro fu, a seconda dell’età, l’arruolamento nelle file asburgiche o la pensione.