La congiura ordita dai liberali Ciro Menotti ed Enrico Misley ai danni del duca Francesco IV d’Austria Este, col quale il carpigiano Menotti aveva pure avuto cordiali rapporti e la concessione di una privativa per la produzione di acquavite, era stata organizzata per il 5 febbraio 1831. L’arresto di uno dei cospiratori, Nicola Fabrizi, scoperto dal segretario ducale Gaetano Gamorra, fece tuttavia anticipare la rivolta alla notte del 3 febbraio. Anche in questo caso però il duca, ben ragguagliato dai suoi informatori, precedette l’attacco dei sovversivi presentandosi con le sue guardie sotto il palazzo modenese di Menotti in corso Canalgrande e intimando loro la resa. L’immediata replica all’esortazione ducale fu una raffica d’artiglieria che costò sì la vita a due Dragoni dell’esercito ducale, ma anche la libertà al Menotti, che venne catturato e leggermente ferito mentre tentava la fuga dai tetti. Qualche giorno dopo, per ragioni di sicurezza dal momento che l’Austria tardava a intervenire a favore del sovrano modenese, la famiglia ducale si trasferì a Mantova portandosi dietro il congiurato in catene, ma vi si trattenne solo un mese. Il 9 maggio successivo il prigioniero carpigiano venne condannato al patibolo dal Tribunale di Stato situato a Rubiera, sentenza eseguita tramite impiccagione la mattina del 26 nell’antica zona difensiva della Cittadella. Svanivano così, definitivamente, sia l’illusione del Menotti d’aver intravisto in Francesco IV un sovrano liberale sia l’illusione di Francesco IV d’aver avuto nel Menotti un suddito devoto. In ogni caso, e per entrambe le parti, i fatti del 1831 costituirono un torbido capitolo dell’ultimo periodo austro-estense. A dispetto di un progetto rimasto soltanto sulla carta, l’erezione di una statua equestre del duca Francesco I d’Este affidata a Gian Lorenzo Bernini, al centro della piazza antistante il Palazzo Ducale di Modena (piazza Roma) spicca oggi la statua dell’uomo che, pur essendo morto all’alba del Risorgimento, in piena Restaurazione e trent’anni prima dell’unità d’Italia, contribuì sicuramente con la forza della sua memoria di martire rivoltoso ad abbattere il potere estense e a convogliare il quasi millenario ducato estense entro i confini del nuovo regno italiano. Realizzato nel 1879 da Cesare Sighinolfi, che frequentò l’Accademia Atestina di Belle Arti, «il monumento si pone, attraverso lo sguardo di Ciro Menotti che brandisce la bandiera italiana in direzione della stanza dove venne sottoscritta da Francesco IV la sua condanna a morte, in aperto atteggiamento di sfida» verso il passato ducale e legittimista. Che però, a quanto pare, non era dispiaciuto affatto alla popolazione modenese, visto che la raccolta fondi promossa all’epoca dal Comune per pagare allo scultore la realizzazione dell’opera andò praticamente deserta, gli antichi sudditi estensi, divenuti loro malgrado sudditi sabaudi (è ormai arcinoto e fondato su base documentaria che i plebisciti del 1861 furono un grande bluff lungo tutto lo Stivale – Il gattopardo docet…), si tennero i denari in tasca, prendendo così palesi distanze dall’iniziativa del nuovo regno in omaggio a un eroe poco amato. Ci avrebbe pensato la magniloquenza postunitaria a issare il Menotti sul piedistallo della storia e della gloria. Nel frattempo, è plausibile che i modenesi continuassero a rimpiangere la mancata statua equestre del tiranno estense Francesco I. Che nessuno, comunque, avrebbe osato abbattere o sostituire. Nel nome, quantomeno, del principe degli artisti, Gian Lorenzo Bernini. Sulla facciata del Palazzo Ducale di Modena una lapide ricorda poi un altro carpigiano di idee giacobine, Manfredo Fanti (1806-1865), nato e cresciuto come suddito ducale e morto ministro della guerra e della marina, nonché comandante del VII corpo d’armata del regio esercito sabaudo. Il suo sepolcro è all’interno della cattedrale di Carpi.