È formalmente iniziato nel 2004 il restauro di Villa Sorra, splendido complesso di fine Seicento che porta ancora oggi il nome della famiglia di banchieri, produttori di seta e proprietari terrieri che lo costruirono nella pianura tra Panzano e Gaggio in Piano proprio al confine tra il territorio modenese del ducato estense e quello bolognese di giurisdizione pontificia, in entrambi i quali i Sorra avevano le loro fiorenti attività. L’intervento di recupero, inaugurato con le migliori intenzioni, si è poi negli anni gravemente arenato per ragioni che, in verità, poco attingono alla crisi economica in corso, benché la mancanza di denaro per il prosieguo e l’ultimazione dei lavori sia stata pubblicamente avanzata negli anni dal 2008 in poi come la causa principale del prolungato, e irrisolto, stato di degrado e fatiscenza dai quattro Comuni proprietari della villa, Modena, Castelfranco Emilia, San Cesario e Nonantola. In verità, e malgrado gli alti costi già richiesti dalla manutenzione ordinaria di un simile bene storico-artistico e paesaggistico, le risorse finanziarie per restituire l’immobile al suo antico splendore non mancherebbero, più che altro il cantiere di restauro è già stato bloccato una volta per via di pesanti questioni giudiziarie. Dallo scorso maggio su Villa Sorra si è poi abbattuta l’ulteriore sciagura del terremoto che ha provocato la chiusura completa al pubblico dell’edificio, fino ad allora visibile almeno nel luminoso vestibolo del pianterreno in occasione di eventi speciali o di visite guidate. Anche su questo punto, tuttavia, bisogna fare chiarezza. La villa, infatti, non ha subito alcun danno strutturale, le sue pareti infiltrate d’umidità, gli affreschi precari, le colonne crepate, i vasi ornamentali che ne decorano la sommità, le scale a chiocciola e i finestroni che si aprono sulla campagna circostante hanno retto bene all’urto delle scosse e nulla è caduto. L’unico edificio della vasta tenuta giudicato staticamente fragile dopo il sisma è quello delle scuderie, all’interno del quale, peraltro, è stato lasciato tutto il prezioso materiale del Museo della Civiltà contadina, curato dal Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena, ma fino a ora mai aperto alla fruizione turistica. Piuttosto, Villa Sorra è stata giudicata “terremotata” poiché compresa entro i confini di un comune “terremotato”, Castelfranco Emilia, che tra i quattro Comuni proprietari è quello che su di essa ha le principali funzioni di tutela e di intervento e che in tal modo ha avuto una formale e pubblica ragione in più per poterla dichiarare chiusa in quanto (non) danneggiata. Peccato. Peccato davvero. Perché, come già scrivemmo nel 2012, la villa e il suo splendido parco sono sicuramente da includere nel numero delle eccellenze della Regione Emilia Romagna e quindi nel numero di quelle risorse d’arte capaci, attraverso un accurato recupero, di ridare fiato all’intera economia nazionale e, una volta recuperate, di alimentare un vivace e proficuo circuito turistico, come già testimoniano le migliaia di persone che durante la bella stagione trascorrono comunque a Gaggio in Piano piacevoli ore nel verde e godono della vista del giardino romantico senza poter minimamente vedere le ricchezze (seppur spogliate e depauperate negli anni) interne alla dimora. Peccato che le notevolissime potenzialità di un monumento oggi pressoché in rovina (e il piano superiore, soprattutto, è il desolante documento di un imperdonabile, sciagurato abbandono) siano ancora una volta sprecate in (apparente) ragione di una (oggettiva) difficoltà che le stesse potrebbero aiutare a risolvere. Peccato che anche a Gaggio in Piano un pezzo di splendida Italia non possa contribuire a salvare l’Italia intera. A un anno di distanza circa dagli ultimi articoli pubblicati, dobbiamo, tra le altre cose, denunciare un ulteriore aggravamento della condizione della villa: i materiali edili di risulta abbandonati sia all’interno che all’esterno, l’originale scalone d’ingresso coperto da teli che nei mesi invernali si sono impregnati di neve e d’acqua, gli interventi nei sotterranei iniziati per primi ma mai conclusi, le precarie recinzioni che di fatto non mettono in sicurezza le zone aperte del cantiere e non impediscono concretamente l’accesso ad esse sono ferite visibili e documentabili da chiunque. Da chiunque abbia a cuore l’inestimabile patrimonio della nostra terra. Da chiunque, fermandosi un attimo a riflettere su uno scempio simile, si accorga nel lampo di un attimo che un restauro di questo genere, cioè un restauro avviato ma immobile, iniziato ma trascurato, già inaugurato tra altisonanti dichiarazioni ma lasciato in sospeso oramai da dieci anni, sia in realtà un’altra gravissima causa di rovina, di deterioramento, di distruzione, di sperpero di denaro pubblico, di raggiro dei cittadini contribuenti, persino di avvilimento del volontariato, l’unico settore che in queste situazioni si prodiga ancora con affetto, se non con speranza. Ci saranno anche di mezzo legittime motivazioni di indagini o di processi in corso, che nessuno discute. Ci sarà anche di mezzo, e sicuramente con il ruolo di primo attore, l’immobilismo politico di questi nostri tristi tempi. Ma far morire così un bene di tutti è un oltraggio alla storia, alla bellezza e all’onestà.