Primo maggio, la festa dei lavoratori. Una celebrazione nata in seno ai Paesi dell’Europa industrializzata, per rivendicare il lavoro come forza portante dello Stato. Lavoro che oggi è diventato, per molti, una chimera

Furono le lotte spesso violente che i lavoratori in tutti i paesi all’epoca industrializzati, combatterono a fine Ottocento per la riduzione dell’orario di lavoro; la più simbolica, perché violenta e drammatica, fu quella tenutasi a Chicago nei primi giorni di maggio del 1886 che convinse su ciò che, da tempo, in seno all’Internazionale socialista, l’organismo internazionale che raccoglieva le formazioni sindacali e politiche maggiormente rappresentative dei lavoratori, era già avvertito come necessario. Celebrare il lavoro ed i lavoratori. Forza portante dello Stato ed, in qualunque posto del mondo, alla base del progresso e del benessere civile di una collettività. Oggi resta poco dei valori e dei significati di quella festa; il lavoro, chimera per molti, ha fatto il suo percorso all’interno della società civile. Può esser riconosciuto come bene comune, posto nelle fondamenta di tante carte costituzionali, compresa la nostra, ma non riesce ad essere volano di sviluppo perché interdetto prevalentemente ai giovani che non riescono così ad essere parte attiva nel tessuto sociale, perché continua a discriminare  per sesso e razza, perché talvolta uccide per mancanza o carenze della giusta tutela. Concerti, celebrazioni, eventi , le piazze gremite, le strade percorse da cortei colorati e vocianti. Sono gli echi di una festa per tanti versi incapace di stupire e coinvolgere. Il lavoro ha perso, nella evoluzione del suo posto nella società civile attuale, la capacità gioiosa di essere energia positiva e libera, con la quale si scriveva, inevitabilmente e spontaneamente, una storia di benessere e sviluppo.