Stefano Salvati rinviato a giudizio con l’accusa di falso e calunnia. Aveva chiesto 6 milioni al rocker di Zocca per non rivelare particolari della sua vita privata

Per Vasco Rossi era un collaboratore fidatissimo, manager che per anni aveva lavorato al suo fianco ma anche regista di diversi suoi videoclip e alla fine amico, al di là dei rapporti di lavoro. E’ stata grande dunque la sorpresa del rocker quando nell’aprile 2014 (dopo la fine della collaborazione) si è visto arrivare una citazione in giudizio da parte del bolognese Stefano Salvati, con la richiesta del pagamento di una prima rata da 200mila euro di complessivi 6 milioni previsti da un patto di riservatezza che, a suo dire, aveva firmato con il rocker di Zocca dietro questo corrispettivo economico. Si tratta di un documento che Vasco, nel corso della sua lunga carriera, ha fatto firmare a tutti i suoi collaboratori, chiedendo da parte loro un impegno a mantenere il più assoluto riserbo sulla sua vita privata. Ma in esso non è indicato alcun dovuto extra a parte il normale stipendio. Per questo i legali del cantante hanno presentato in Tribunale l’originale, confutando quello di Salvati. Il pm Domenico Ambrosino ha preso atto dell’assenza dei 6 milioni del documento esibito da Vasco e ha avuto conferma da parte di altri suoi collaboratori dell’assenza di indennizzi in denaro legati al patto di riservatezza. E’ stata quindi disposta una perizia documentale da cui sarebbe emerso che i fogli extra presentati da Salvati con l’indicazione dei 6 milioni provengono da una stampante diversa, e sono quindi da considerarsi falsi. Per Vasco è quindi scattata l’archiviazione, mentre per Salvati il rinvio a giudizio con l’accusa di falso e calunnia, nonostante la presentazione di una memoria difensiva: andrà a processo il 21 settembre a Bologna.