Operazione dei Carabinieri all’alba di oggi: risolto il caso del tentato omicidio del 19 novembre scorso. Cristina Pancaldi e Fabio Rasponi volevano mettere le mani sull’eredità del padre-suocero

Furono la figlia e il genero a ordinare l’uccisione del 74enne Luciano Pancaldi, lo scorso 19 novembre a Vignola. I due assoldarono due killer per assassinare l’uomo e mettere così le mani sull’eredità. Pancaldi fu colpito da nove coltellate, ma non morì. E’ quanto emerge dall’operazione ‘Parenti Serpenti, a cui i carabinieri della Compagnia di Sassuolo e della Tenenza di Vignola hanno dato esecuzione questa mattina all’alba, su ordinanza emessa dal Gip Paola Losavio. Quattro persone sono state arrestate: si tratta di Cristina Pancaldi, Fabio Augusto Giorgio Rasponi, , Rosario Sambasile e Salvatore Vascoli, ritenuti  responsabili, in concorso tra loro, del reato di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione, oltre che dall’uso di armi e dal rapporto di parentela ai danni del 74enne Luciano Pancaldi.

Le indagini

L’indagine denominata “PARENTI SERPENTI”, diretta dal sostituto procuratore Pasquale MAZZEI e coordinata dal Procuratore Capo Lucia MUSTI, aveva inizio l’indomani dell’agguato avvenuto il  19 novembre dello scorso anno, in pieno centro cittadino di Vignola (MO), allorquando  PANCALDI Luciano, mentre effettuava la consueta passeggiata serale dopo aver cenato, veniva avvicinato da uno sconosciuto che gli sferrava una serie di coltellate al corpo e al volto, per poi scappare velocemente a piedi. Il PANCALDI, seppur gravemente ferito, riusciva a rialzarsi e a dirigersi verso una pattuglia della locale Polizia Municipale che prestava i primi soccorsi. L’uomo stante la gravità delle ferite veniva trasportato all’Ospedale di Baggiovara in prognosi riservata. Le modalità e l’efferatezza di tale gesto, ben nove fendenti arrivati a segno, portavano gli inquirenti ad escludere sin da subito un tentativo di rapina ai danni dell’anziano, e a concentrare le indagini sulla vita privata dell’uomo.

Le prime confuse parole pronunciate dal PANCALDI Luciano ai soccorritori prima di perdere i sensi e gli immediati accertamenti posti in essere indirizzavano le indagini in ambito familiare. In particolare emergeva una situazione caratterizzata da profondi dissidi tra l’anziano e la figlia Cristina; dissidi acuitisi all’indomani della morte della moglie del PANCALDI Luciano e alla conseguente suddivisione dell’asse ereditario tra padre e figlia, ammontante a diverse centinaia di migliaia di euro. L’attrito famigliare raggiungeva la completa rottura quando il PANCALDI Luciano decideva di promuovere un azione legale per il riconoscimento della “legittima” e difendersi dalle continue e pressanti richieste della figlia, di vendere l’abitazione di famiglia dove vive l’anziano, per poter ottenerne il ricavato e fronteggiare un elevata esposizione debitoria.

A confermare i primi sospetti, una denuncia di rapina dai contorni poco chiari, presentata un mese prima dal RASPONI Fabio (marito della Cristina), nella quale l’uomo riferiva di essere stato rapinato da uno sconosciuto che, dopo averlo picchiato e derubato di circa 400 euro, allontanandosi gli diceva che i soldi erano a pagamento del lavoro eseguito. Tale singolare episodio avvalorava l’ipotesi di un tentativo grossolano di precostituirsi un alibi.

A questo punto i tradizionali metodi investigativi venivano  supportati da indagini tecniche, quali intercettazioni su PANCALDI Cristina e RASPONI Fabio che permettevano di acquisire importanti fonti di prova. La coppia, certa che gli inquirenti stessero perseguendo come unica pista investigativa quella di un tentativo di rapina, nel corso delle conversazioni rivelavano di essere i mandanti dell’efferata aggressione, commissionata a due soggetti di nome Rosario e Salvatore e, successivamente, resisi conto di essere sospettati, mettevano in luce l’intenzione di sviare le indagini concordando preventivamente le versioni da dare agli inquirenti negli interrogatori a cui sarebbero stati sottoposti, al fine di far ricadere la colpa solo sugli altri due complici.

I successivi accertamenti portavano ben presto ad identificare i complici, nel 35enne SAMBASILE Rosario e nel 40enneVASCOLI Salvatore, soggetti questi, con piccoli precedenti penali, non collegati ad alcun organizzazione criminale, facenti parte la sfera di conoscenze personali dei due coniugi. Il primo  pronto a risolvere “il problema familiare” assoldando il secondo, il materiale autore dell’aggressione. 20.000 euro il compenso pattuito da dividere tra i due. Compenso mai riscosso stante il mancato raggiungimento dell’obiettivo.

Tra gli aspetti inquietanti emersi nel corso delle indagini, che inquadrano lo stretto legame tra mandanti ed esecutore, la ricostruzione della  rocambolesca fuga del VASCOLI Salvatore (accoltellatore) la sera dell’agguato, il quale, al fine di sfuggire alla fitta rete di controlli dei Carabinieri, trovava rifugio proprio presso l’abitazione della coppia PANCALDI/RASOPONI, dove giungeva, ancora con l’arma del delitto e con gli abiti insanguinati, portando la notizia del compimento di quanto pianificato.