Sono ancora tanti i perché dietro al terremoto che fece tremare l’Emilia nel 2012: perché ha avuto epicentro nella pianura padana, zona a basso rischio sismico secondo la mappatura nazionale? Qualcosa lo ha indotto? Come proseguono gli studi sul fenomeno? A queste domande ai nostri microfoni ha risposto un esperto

Sei anni dopo le terribili scosse che misero in ginocchio l’Emilia, avanzano ancora gli studi su un fenomeno che terrorizzò i cittadini e su cui abbondano i dubbi. Quello che più preme è: si possono prevedere queste catastrofi naturali? Siamo purtroppo ancora lontani dal riuscire a prevedere quando si potranno verificare i prossimi terremoti. La ricerca mira a fare prevenzione per quanto riguarda la mappatura del terreno, in modo da costruire edifici più sicuri in zone a basso rischio. In particolare, l’università di Modena si è concentrata sul fenomeno della liquefazione, ovvero la fuoriuscita di sabbia da pozzi o crepe nel terreno a seguito di terremoti molto forti. Un’occorrenza che sul nostro territorio si verificò dopo la scossa del 20 maggio e che determinano un indebolimento della capacità portante del terreno. Gli studi nel sottosuolo su queste fuoriuscite di materiale hanno portato a fare scoperte interessanti e anche inquietanti, sul passato sismico dell’Emilia. Ad esempio, fenomeni di liquefazione interessarono anche Ferrara, a seguito di un forte terremoto, verificatosi nel 1500. Molto si è detto del terremoto del 2012. Che ad esempio sia stato indotto da scavi o trivellazioni. Un sospetto sorto anche perché secondo la suddivisione dell’Italia in zone sismiche, la pianura Padana risulta una zona a basso rischio. Ma, gli esperti ricordano, basso rischio non significa essere completamente esenti da fenomeni sismici, anche di alta intensità.

Nel video intervista a Doriano Castaldini