Abbiamo chiesto un parere sull’attribuzione a Guercino del dipinto esposto a Modena a Massimo Pulini, pittore, storico d’arte, curatore di mostre e di volumi monografici sugli artisti del Seicento e attualmente assessore alla Cultura del Comune di Rimini. Lei è uno dei maggiori studiosi del Guercino in Italia e nel mondo. Avalla l’attribuzione di questo dipinto alla mano del maestro centese? Se no, su quali elementi sostanziali? No, non mi sento di avallare questa attribuzione. Certo, nel dipinto è evidente la presenza di un prototipo e di una invenzione tipici del maestro, e poi però rielaborati da allievi e collaboratori, che erano soliti riprendere i disegni di Guercino per una traduzione pittorica. Ma escluderei che l’opera sia riconducibile alla sua autografia. Alcuni storici dell’arte propendono per un’attribuzione dell’opera a Matteo Loves, il collaboratore fiammingo del Guercino attivo presso la corte ducale di Modena. Ritiene plausibile questa ipotesi? L’ipotesi è plausibile perché, in effetti, la mano più vicina al dipinto sembra proprio quella di Matteo Loves. In particolare, la luce chiara degli incarnati e il battere della luce che tende ad appiattire i panneggi sono elementi tipici della pittura dell’assistente fiammingo di Guercino. I Gennari, ad esempio, parenti e collaboratori anch’essi del maestro, realizzavano incarnati più rosei, talora persino arrossati. Anche la tipologia dei volti richiama i modelli consueti del Loves.